Note storiche

La storia del CATI: le discipline teologiche a confronto

di Giorgio Bonaccorso


La collaborazione tra le diverse competenze teologiche costituisce un obiettivo inalienabile data la natura profondamente unitaria e comunionale del loro oggetto, ossia della fede; e dato anche l’avvenimento che, più di altri, ha segnato il vissuto ecclesiale della seconda metà del secolo che sta per concludersi: il Concilio Vaticano II. Al di là delle numerose espressioni che nei documenti di tale Concilio si riferiscono al lavoro della ricerca e della riflessione teologica, l’accadere stesso di un convenire ecumenico, con il suo inequivocabile valore storico di riconciliazione e di comunione, è stato ed è un implicito richiamo alla collaborazione tra coloro che nella Chiesa svolgono il ministero della riflessione. In quest’ottica anche l’incontro tra le Associazioni che raggruppano le diverse competenze teologiche è da intendersi non solo come la risposta a un’urgenza scientifica ma, prima ancora, come atto di obbedienza al Dio che fa della storia il segno della sua volontà. Del resto, la maturità di un impegno intellettuale consiste proprio nel non rimanere “solo” intellettuale.

Mi sembra che sia questo il senso autentico e più fecondo di quel cammino che ha portato alla creazione e allo sviluppo del Coordinamento Associazioni Teologiche Italiane (CATI). Nell’esaminare, molto brevemente, questo cammino si possono scorgere tre momenti decisivi: a) un primo momento riguarda l’avvio della collaborazione, in cui sono emersi gli intenti fondamentali che devono caratterizzare la collaborazione tra le Associazioni Teologiche; b) un secondo momento può essere fatto coincidere con lo sforzo di formulare un regolamento in cui siano rintracciabili gli elementi strutturali del CATI; c) un terzo momento coincide, indubbiamente, col confronto teologico soprattutto sul tema scelto per il I Congresso celebrato a Collevalenza nel settembre 1999: “Guesù di Nazaret… Figlio di Adamo, Figlio di Dio”.

1. L’avvio del CATI: gli intenti fondamentali

L’occasione che ha dato avvio alla più stretta collaborazione tra le Associazioni Teologiche Italiane, sembra avere il valore di una promessa. Il 21 maggio del 1994, a Siena, alcuni esponenti delle diverse discipline teologiche si sono confrontati sul tema del Congresso Eucaristico: «Per voi. L’eucaristia, un essere per gli altri». Il giorno successivo, quasi nel segno del “per voi” eucaristico, presso il seminario di quella città, alcuni Presidenti e qualche esponente delle Associazioni Teologiche (ATI, SIRT, ATISM, APL, AMI) si sono riuniti (1° incontro) con l’intento di avviare una collaborazione più stretta. Negli interventi di questo incontro appare il comune desiderio di costituire un organismo stabile per il coordinamento delle Associazioni. In tale direzione si è mossa la riunione successiva (2°), tenutasi a Firenze il 3 dicembre 1994. È in questa sede che si è costituito il Coordinamento Associazioni Teologiche Italiane (CATI) e se ne è affidato temporaneamente (per due anni) l’organizzazione a un Coordinatore, Giorgio Bonaccorso, e a un Segretario, Filippo Resta.

All’atto di nascita del CATI hanno contribuito: l’Associazione Biblica Italiana (ABI), l’Associazione Teologica Italiana (ATI), la Società Italiana per la Ricerca Teologica (SIRT), l’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM), l’Associazione Professori e Cultori di Liturgia (APL) e l’Associazione Mariologica Interdisciplinare d’Italia (AMI). Come risulta anche dal Regolamento che verrà redatto successivamente, il CATI rimane aperto all’inserimento di altri organismi che abbiano attinenza col lavoro teologico in Italia. Col tempo si è, così, aggiunto il Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico (GIDDC). Anche i Patrologi si sono mostrati interessati all’iniziativa, pur non potendo partecipare istituzionalmente al CATI dato che per loro non esiste un’associazione italiana ma solo quella internazionale.

Nelle due riunioni appena segnalate sono emersi gli intenti fondamentali del CATI, e, in primo luogo, quello di promuovere un modello interdisciplinare della ricerca teologica nel pieno rispetto delle singole autonomie e specializzazioni. In altri termini, fin dall’inizio del cammino comune tra le Associazioni è apparso decisivo intendere la collaborazione non sul modello della pianificazione o dell’assimilazione reciproca ma su quello dell’ascolto delle diverse prospettive e della valorizzazione delle molteplici differenze. La preoccupazione di salvaguardare l’autonomia delle Associazioni già esistenti rimane un elemento prezioso per qualificare il coordinamento delle medesime, ossia il CATI, non in termini di super-associazione ma solo come organismo messo al servizio della crescita di tutte secondo la propria qualifica.

L’insistenza sulla protezione degli ambiti specifici non ha implicato la preclusione verso quegli spazi di collaborazione che abbiano attinenza con la teologia; anzi, fin dall’incontro del 22 maggio ‘94, si è voluto estendere gli interessi del CATI oltre i limiti della ricerca, nella consapevolezza che un autentico lavoro teologico deve tenere presente altri aspetti, e, in particolare, quello didattico e quello pastorale. La teologia, infatti, è una ricerca che, per sua stessa natura, tende alla comunicazione e al confronto. In primo luogo abbiamo l’aspetto didattico che implica la corretta comunicazione tra coloro che entrano in contatto con la ricerca teologica, e in modo particolare tra docenti e studenti: su questo argomento ogni Associazione può trarre giovamento dalle consuetudini e dalle iniziative delle altre. Ma vi è di più. Dato che l’insegnamento teologico ha come obiettivo non la sola trasmissione di informazioni specifiche ma la proposta di un quadro globale in cui ogni disciplina appare armonicamente integrata con le altre, il coordinamento tra le Associazioni può contribuire, in modo forse inedito, all’elaborazione di un modello didattico interdisciplinare in cui nessuna componente sia trascurata.

L’altro aspetto fondamentale della collaborazione tra le Associazioni è quello pastorale, che implica il confronto con la comunità cristiana da cui la teologia trae i motivi stessi del proprio lavoro. L’intento immediato è quello di consentire al coordinamento delle Associazioni di interagire con l’attività pastorale della Chiesa italiana, là dove tale attività possa o debba avvalersi della riflessione teologica. Credo, però, si debba riconoscere anche un altro aspetto all’aspetto pastorale appena segnalato. Il radicarsi del CATI nel concreto tessuto ecclesiale è da intendersi, infatti, come il corrispettivo di una teologia intesa non come speculazione su contenuti dogmatici astratti, ma come narrazione dell’operare divino nella storia; una storia che rimarrebbe inconsistente se non fosse colta nei luoghi concreti della prassi della chiesa e dell’intera umanità. L’aspetto pastorale coinvolge il CATI proprio sotto questo doppio e inscindibile profilo: il vissuto della comunità cristiana e il percorso delle culture umane senza le quali, del resto, il vissuto ecclesiale rimarrebbe incomprensibile. Sotto questo profilo, la “pastorale” non è solo un interesse finale della teologia in genere e del CATI in particolare, ma un loro alimento indispensabile che può fornire suggerimenti non trascurabili anche per la ricerca e per la didattica.

Fin dall’inizio, quindi, l’incontro tra le Associazioni si è qualificato in ordine a un programma triangolare della teologia, nella consapevolezza che i tre lati, rappresentati dalla ricerca, dalla didattica e dalla pastorale, risultano proficui nella reciproca interazione. A ciò si deve aggiungere l’effetto immediato dei contatti tra i rappresentanti delle Associazioni. Come è stato osservato da parte di più di qualcuno degli stessi rappresentanti, l’incontro tra biblisti, teologi sistematici, moralisti, liturgisti, mariologi, canonisti, ha portato un primo contributo, non solo facendo cadere eventuali pregiudizi, ma soprattutto evitando quei malintesi che possono nascere nei confronto degli ambiti in cui non si è specialisti. Uno di tali malintesi, può essere, per es., quello di attribuire alle discipline diverse dalla propria tesi ormai datate o non condivise dalla maggioranza degli esperti. Inoltre, si è potuto constatare, fin dai primi incontri, la possibilità di operare, almeno nelle linee generali, molteplici integrazioni tra le diverse discipline. Dal dialogo sviluppatosi nelle riunioni, sono talvolta emersi punti chiave intorno a cui le diverse competenze si sono sentite e si sentono interpellate. Soprattutto si è fatto sempre più evidente l’inconsistenza di qualsiasi atteggiamento autosufficiente tanto della singola specializzazione teologica rispetto alle altre, quanto dell’intera teologia rispetto al mondo culturale extrateologico.

In tutto ciò è difficile non sentire anche il riflesso della sensibilità promossa dal Concilio Vaticano II, di cui si può citare, solo emblematicamente, il n. 62 di Gaudium et spes: «La ricerca teologica, mentre persegue la conoscenza profonda della verità rivelata, non trascuri il contatto con il proprio tempo, per poter aiutare gli uomini competenti nei vari settori del sapere ad una più piena conoscenza della fede». Tanto «la conoscenza profonda della verità rivelata», che, come vuole lo stesso Concilio, passa anche attraverso la collaborazione tra le diverse specializzazioni, quanto il «contatto con il proprio tempo», costituiscono l’orizzonte entro cui le Associazioni Teologiche Italiane intendono condurre un reciproco dialogo che non si muova solo a più livelli, scientifico didattico pastorale, ma che mostri la possibile e necessaria integrazione tra i medesimi.

2. Il Regolamento del CATI: la struttura base

Il valore degli intenti si misura anche sull’elaborazione degli strumenti necessari alla loro realizzazione. Ed è per questo che una delle esigenze emerse già nei primi incontri è stata quella di istituire una normativa minima ma sufficiente a individuare la struttura e gli orientamenti operativi del CATI. Così nella riunione (3°) del 26 giugno 1995 a Firenze, si è lavorato alla composizione di un Regolamento, che nell’incontro successivo (4°) tenutosi a Padova il 9 dicembre 1995, ha ricevuto le ultime precisazioni. Il lavoro intorno al Regolamento ha avuto il pregio di costringere a chiarire gli intenti del CATI e a valutarne il peso sotto il profilo organizzativo e operativo. In altri termini esso ha costretto a individuare una struttura base che consentire di riconoscere l’identità del Coordinamento delle Associazioni Teologiche. Per tali motivi il documento finale risulta estremamente breve ed essenziale.

Il testo del Regolamento precisa i fini e le attività, i membri e gli organi del CATI. I membri, ovviamente, sono le Associazioni Teologiche Italiane che hanno deciso di aderirvi. Gli organi sono il Consiglio, il Coordinatore, il Segretario-tesoriere; il Consiglio è composto dai Presidenti e dai Segretari delle Associazioni, mentre il Coordinatore e il Segretario-tesoriere sono eletti dal Consiglio. Riguardo ai fini e alle attività il Regolamento si esprime come segue:

Il CATI ha la finalità: a) di promuovere il dialogo, il confronto, l’informazione e la comunicazione tra le Associazioni teologiche; b) di favorire le relazioni interdisciplinari nel campo della ricerca, della didattica e del servizio pastorale.

Il CATI raggiunge queste finalità mediante: a) la programmazione di incontri seminariali; b) la promozione di incontri di studio in vista di periodici congressi unitari; c) la collaborazione con le singole Associazioni Teologiche in occasioni di congressi, qualora lo richiedano; d) la collaborazione con Centri e Istituzioni interessati alla ricerca teologico-interdisciplinare; e) la collaborazione con Organismi ecclesiali in ordine ad alcune problematiche emergenti.

I fini e le attività del CATI prevedono, sostanzialmente, un duplice tipo di collaborazione: una interna, ossia tra le Associazioni che appartengono al Coordinamento, e l’altra esterna, con istituzioni e iniziative che possono avere attinenza con la dimensione teologica. Entrambi i tipi di collaborazione, strutturali all’esistenza stessa del CATI, hanno anche avuto qualche applicazione concreta in sedi istituzionali. Per quanto riguarda la realizzazione concreta della collaborazione esterna, si possono ricordare quella col Dipartimento di Scienze Religiose dell’Università Cattolica di Milano e quella con lo Studio Teologico di Torino. A ciò si devono aggiungere i contatti che i Presidenti delle Associazioni che compongono il CATI hanno avuto con la Conferenza Episcopale Italiana. La CEI, da parte sua, si è dimostrata interessata al lavoro di collaborazione che, grazie al CATI, si sta realizzando tra le diverse competenze della teologia.

Per quanto riguarda la realizzazione della collaborazione interna, si può rammentare quella particolarmente fruttuosa, realizzatasi in occasione della Settimana di Studio dei liturgisti tenutasi alla fine di agosto del 1996 sul tema Liturgia: itinerari di ricerca. Sebbene l’iniziativa non sia partita dal CATI ma dall’APL, essendo l’APL stessa membro del CATI, e trattandosi di un confronto tra le discipline teologiche su un determinato argomento, credo si debba intendere quell’incontro come collaborazione interna. Proprio l’esistenza del CATI, infatti, ha agevolato l’intento dei liturgisti italiani di porsi a confronto con le altre competenze teologiche sull’oggetto stesso della loro ricerca: la liturgia. Ciò ha consentito alle diverse Associazioni Teologiche di fare una prima verifica del confronto diretto confrontarsi su un argomento comune e, in particolare, di manifestare le proprie reazioni e attese nei confronti di una disciplina in cui è competente una delle Associazioni.

In queste collaborazioni, interne ed esterne, si può scorgere il corrispettivo, in sede operativa, di quanto affermato e condiviso, in sede teorica, sugli intenti fondamentali del CATI. È, in ogni caso, l’aspetto operativo che, nel rispetto delle componenti strutturali, può creare il clima di fiducia indispensabile a un sereno scambio scientifico. Anche se in astratto si può invocare l’imparziale apertura di ogni ricercatore al lavoro degli altri, tale apertura trova un terreno molto più solido se ci si avvale di percorsi che, per un verso, conducono a un confronto diretto a più voci e che, per un altro verso, ricorrono a strumenti istituzionali e normativi capaci di richiamare l’impegno alla collaborazione. Ciò va tenuto presente anche in vista di un lavoro che prosegua oltre la fatica dell’attuale Congresso, e, comunque, oltre le sole grandi quanto rare occasioni straordinarie. Il coordinamento tra le Associazioni Teologiche risulta o risulterà maturo a condizione di incidere sul lavoro più ordinario tanto nel campo della ricerca quanto in quello della didattica e della pastorale.

3. L’impegno per il Congresso CATI: il confronto sui contenuti

Il confronto su un tema comune, questa volta scelto espressamente da tutte le Associazioni Teologiche, caratterizza la fase più recente della vita del CATI. Tale confronto è stato occasionato dalla decisione, presa già nella riunione del 26 giugno ‘95, di impegnarsi in un Congresso unitario da celebrarsi alla fine del millennio. È bene osservare subito che in primo piano non è stato posto il Congresso, che pure ha assorbito tante energie speculative e organizzative, ma l’esigenza di misurare il CATI su un argomento che potesse verificare lo stato della ricerca delle diverse Associazioni e competenze. La scelta stessa del tema, inoltre, è caduta sulla figura di Gesù Cristo, più per la sua centralità nella fede che per l’occasione numerica del computo bimillenario.

Il titolo accettato, nella riunione del 9 dicembre ‘95, ossia: Gesù di Nazaret, figlio di Adamo figlio di Dio, ha l’indubbio vantaggio di conglobare le due dimensioni che, fin dalla più antica tradizione, caratterizzano la fede nel Cristo. È emerso fin dalle prime discussioni che questo duplice aspetto di Gesù di Nazaret non è da intendersi, in primo luogo, secondo la cristologia statica di una doppia natura astratta dalle vicende storiche, ma di una cristologia più dinamica e biblica che rintraccia il Figlio di Dio nel vissuto concreto di quel Nazareno che è imprescindibilmente un figlio di Adamo.
A queste prime precisazioni e discussioni sul tema del futuro Congresso, ha fatto seguito la decisione, da parte del Consiglio del CATI, di sollecitare le diverse Associazioni a nominare degli esperti in grado di proseguire secondo le prospettive già emerse e di apportare i contributi specifici della propria competenza. Con la riunione (5°) del 1 giugno 1996 a Padova, ha avuto inizio questo lavoro più immediatamente rivolto al Congresso del 1999. È doveroso sottolineare che si è trattato di un lavoro non privo di difficoltà, sia per l’inserimento di nuove persone, sia per la non facile armonizzazione delle diverse competenze in un progetto che potesse fornire al futuro uditorio un quadro coerente, sia, anche, per alcune assenze o sostituzioni nei diversi incontri.

Una sostituzione, invece, prevista e doverosa è stata quella del Coordinatore e del Segretario che avevano accettato l’incarico solo per un biennio. Con la riunione (6°) del 5 ottobre 1996 a Padova, i Presidenti delle Associazioni Teologiche costituenti il CATI hanno eletto Iginio Rogger come Coordinatore e Giampiero Bof come Vice-Coordinatore e Segretario. Da questo momento è stato loro il non sempre facile compito di condurre il CATI fino all’attuale momento del Congresso (per la cui organizzazione è stato significativo anche il lavoro del precedente Segretario, Fillippo Resta). Si è trattato, infatti, di accogliere i suggerimenti, le proposte e gli schemi, spesso molto differenziati, di coloro che, esperti, presidenti o rappresentanti, hanno partecipato di volta in volta alle riunioni del CATI. Con l’intensificarsi dei lavori di contenuto, soprattutto a partire dalla riunione (7°) del 10 maggio 1997 a Firenze, il Vice-Coordinatore ha dovuto sobbarcarsi il compito di fare circolare i diversi contributi, raccogliendo e ridistribuendo il materiale a disposizione.

Con l’incontro del 15 novembre 1997 a Firenze (8° incontro) si sono venute a delineare in modo più approfondito le problematiche che, secondo gli esperti, caratterizzano la cristologia dal punto di vista delle diverse discipline teologiche. Si è incominciata anche a configurare la scaletta del Congresso. In questo senso sono mossi i lavori condotti nelle tre riunioni (9°, 10°, 11°) del 1998 tenutesi a Firenze, rispettivamente il 31 gennaio, il 6 giugno e il 14 novembre. Per evitare che i contributi degli esperti risultassero troppo personali e poco rappresentativi delle rispettive Associazioni, sono stati promossi dalla stesse Associazioni alcuni incontri e seminari interni grazie ai quali raccogliere le indicazioni e le sollecitazioni dei propri membri. Anche grazie a questa iniziativa gli esperti e i futuri relatori hanno potuto precisare i titoli e gli schemi dei rispettivi contributi.

Come appare da queste poche informazioni, il lavoro che ha impegnato il CATI sul tema del I° congresso, è stato notevole, anche a causa del tema stesso, che presenta molteplici difficoltà e questioni aperte. In modo particolare ci si è imbattuti nella necessità di mantenere un doppio punto di riferimento, strettamente connesso a Gesù inteso come Figlio di Dio e come figlio di Adamo: da una parte la sua unicità nel piano salvifico di Dio e dall’altra parte la sua appartenenza a un tessuto storico-culturale che egli condivide con tanti altri uomini. Una delle questioni che ha sollevato più discussioni è stata quella riguardante la «prospettiva» fondamentale entro cui elaborare in modo unitario questo doppio punto di riferimento, ossia l’unicità di Gesù rispetto agli altri uomini e la condivisione del Nazareno con l’esperienza e con la cultura degli altri uomini.

Da parte di alcuni è stato suggerito che la prospettiva da privilegiare sarebbe dovuta essere quella della mediazione. L’unicità di Gesù, infatti, non entra in collisione con la sua appartenenza al comune tessuto storico-culturale degli altri uomini suoi contemporanei, se si intende questa stessa appartenenza come la mediazione a cui Gesù stesso ha dovuto fare ricorso per apprendere e vivere la propria unicità. In altri termini, Gesù Cristo, che è l’unico mediatore da Dio e l’umanità (Gesù è Figlio di Dio), ha vissuto questa sua unicità proprio grazie alle diverse mediazioni religiose che egli ha incontrato nella sua terra e presso il suo popolo (Gesù come figlio di Adamo), ossia facendo ricorso, per esempio, alle sacre scritture e al tempio, condividendo con i suoi contemporanei la parola e i riti. In tal modo il versante più strettamente «teologico», teso a sottolineare l’unicità di Gesù mediatore, e il versante più propriamente «antropologico», attento alle mediazioni culturali a cui Gesù ha fatto ricorso, verrebbero a comporsi in una visione non concorrenziale ma unitaria.

Sebbene l’opzione per la prospettiva della mediazione non abbia raccolto il consenso di tutti, è rimasto comunque centrale, perché parte del titolo stesso del tema congressuale, l’attenzione alla doppia dimensione divina e umana, nel senso appena segnalato del doppio versante «antropologico» e «teologico» della riflessione sulla figura di Gesù di Nazaret. In tal modo sembra potersi scorgere una coerenza tra i contenuti del Congresso e quell’intento fondamentale del CATI che, come si è già avuto modo si segnalare, implica la doppia apertura del CATI stesso alla tradizione teologica, secondo le diverse specializzazioni, e alle trame culturali dell’umanità contemporanea. La non indifferenza dell’antropologico nel costituirsi dell’unicità teologica di Gesù Cristo, è un segnale indelebile per la fede di una Chiesa che, oggi, come sempre, intende mantenersi fedele al suo Maestro e dialogare con gli uomini che incontra nella storia.